Reddito Alimentare

Perché non morire di fame non è neanche un diritto: È la base di ogni società civile
67,339 persone sostengono già la proposta

Il tema:

Parlando di spreco e povertà alimentare, ci rendiamo conto che i numeri delle due emergenze sono troppo grandi per esser lasciati alla sola gestione Terzo settore, che fa un lavoro prezioso e straordinario, ma che oggettivamente non può gestire – da solo – la mole di 230mila tonnellate di prodotti alimentari sprecati ogni anno dalla distribuzione e i 5 milioni di persone attualmente in povertà assoluta, dunque alimentare. Perché le cifre, aggravate per altro dalla situazione pandemica, sono queste e sono impressionanti.

Per farlo, serve un intervento del Pubblico. Serve, per meglio dire, che si riequilibri il rapporto tra Stato e Terzo settore, sul tema. Non più lo Stato che di fatto scarica sui volontari la mastodontica gestione di spreco e povertà alimentare, dando al limite un supporto con norme ad hoc, ma lo Stato che scende in campo al fianco del Terzo settore, rispettando la sua autonomia e la sua esperienza, ma delineandosi come un partner strategico attivo e proattivo, capace di colmare la distanza tra disponibilità del mondo del volontariato e bisogno di mezzi e risorse per fronteggiare efficacemente le due emergenze che incalzano la società.

Tutto questo è possibile con il Reddito alimentare, uno strumento, un “cappello” sotto al quale Stato e Terzo settore operano assieme per combattere spreco e povertà alimentare, mettendo a fattor comune esperienze, risorse e mezzi.

Il Reddito alimentare è un diritto, riconosciuto al pari di altri strumenti d’integrazione al reddito alle persone in condizioni di indigenza. A differenza però di altre misure come ad esempio il Reddito di cittadinanza, quello alimentare non eroga denaro, bensì alimenti. Più specificatamente, pacchi alimentari realizzati con l’enorme mole di invenduto della distribuzione alimentare, che compone quelle 230mila tonnellate sprecate ogni anno.

Il problema, fino ad oggi, è stato quello di riuscire a gestire quella mole di spreco e distribuirla, capillarmente, alle persone in difficoltà. Problema logistico, come detto. Perché il Terzo settore non ha i mezzi per fronteggiare da solo le due emergenze al fine di risolverle, ma solo contenerle. Con però lo Stato al suo fianco, le condizioni cambiano.

Lo Stato, per tramite dell’INPS, individua la platea di beneficiari, ossia le persone in condizioni di indigenza. Ad essi viene dato un codice univoco, inseribile nell’apposita app del Reddito alimentare realizzata anch’essa dallo Stato. Ad ogni codice corrisponderà un certo numero di pacchi alimentari ottenibili mensilmente, variabile a seconda dello stato di indigenza della persona stessa.

Il beneficiario, attraverso la app, potrà dunque prenotare un pacco alimentare e andarlo a ritirare in uno dei centri di distribuzione, oppure se utente fragile (invalido, anziano ecc.) potrà farselo consegnare a casa.

La logistica del progetto funziona proprio grazie alla dinamica del mettere a fattor comune risorse e mezzi da parte di Stato e Terzo settore.

Presso la distribuzione, a ritirare l’invenduto sono infatti i volontari o i fattorini di un partner logistico scelto dallo Stato. Da essi, gli alimenti sono stoccati in centri di preparazione e distribuzione situati nelle città italiane. I centri sono le sedi degli enti, i locali messi a disposizione dallo Stato per tramite dei Comuni e, per quei privati della distribuzione che volessero facoltativamente mettersi a disposizione, piccoli spazi dentro supermercati e ipermercati stessi. Unendo anche qui le disponibilità fisiche, di locali, degli attori del Reddito alimentare (volontariato, pubblico e privato) si crea dunque un effetto di prossimità per i beneficiari, dando la possibilità alle persone di poter accedere a quei pacchi alimentari senza difficoltà logistiche.

Nei centri, a preparare i pacchi sono i volontari messi a disposizione dagli enti o individuati attraverso il Servizio civile. Gli stessi volontari distribuiscono i pacchi ai beneficiari, usando anch’essi come supporto la app del Reddito alimentare nella sua utenza organizzatore (basterà scannerizzare il codice QR code del beneficiario per verificarne l’identità e scalare il pacco che è venuto a ritirare). In caso di consegne a domicilio per utenti fragili, l’attività potrà essere divisa tra volontari e fattorini del partner logistico scelto dallo Stato per il progetto.

 

Il Reddito alimentare è uno strumento a basso costo di sviluppo mantenimento, e qui sta la sua grande forza. Non si tratta infatti di un meccanismo che richiede, ogni anno, di esser nuovamente finanziato con centinaia di milioni di euro. È un meccanismo che per funzionare richiede pochi milioni di euro l’anno, tra manutenzione del sistema digitale che funge da infrastruttura (la app), il costo per la logistica e una quota di rimborsi per i volontari. 

Lo Stato infatti non paga i generi alimentari distribuiti agli indigenti, che sarebbero la spesa maggiore. Sono i supermercati che mettono a disposizione ciò che altrimenti butterebbero via. E le somme messe a disposizione nella card non sono, come detto, denaro reale, ma un valore equivalente che serve soltanto come unità di misura per consentire agli attori in campo (beneficiario e offerente) di eseguire una transazione realistica.  

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